Tutti noi trattiamo ogni giorno con qualche altro soggetto, nella famiglia, nel lavoro, nelle attività di svago. Trattare non vuol dire accettare quello che ci pone la controparte, ma vuol dire analizzare prima la situazione che si è creata per il contrasto sorto, trovare le varie soluzioni possibili alla realtà
che esiste e quindi pesare i pro e i contro non solo apparenti ed immediati ma anche sostanziali e futuri che indicheranno quali sono i termini per fare accettare la trattativa.Mediare vuol dire pesare su una bilancia della mente, la realtà presente per le due parti in contrasto, in maniera che entrambe le parti ricevano vantaggi e svantaggi commisurati alla posizione di vantaggio o svantaggio presente. Se non fosse così, non c’è mediazione ma solo imposizione e continuazione dello scontro.
Nella mediazione non si può porre la questione di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto, ma solo il problema di porre fine allo scontro fra le due parti, salvando il salvabile per il più debole e consentendo al più forte un risultato utile , ma con un limite di rispetto per gli aspetti sostanziali di sopravvivenza della controparte.
Le mediazioni che non tengono conto di questo equilibrio non sono possibili.
D’altra parte nasce la necessità di una mediazione quando vi è uno squilibrio di forze fra le parti, e la mediazione non serve per riportare a parità le forze contrapposte, ma solo per impedire che il più forte possa distruggere l’esistenza del più debole.
Se si vuole fare finire la guerra e quindi distruzioni e morti e feriti e crescita della povertà, occorre prendere atto della situazione che purtroppo si è venuta a creare sul campo e in base a questa tracciare un accordo che non peggiori questa situazione.
E se non si vuol fare un accordo ? Chi rifiuta di trattare per giungere ad un accordo che faccia cessare la guerra, si può considerare anche lui un “criminale di guerra” perché è corresponsabili degli ulteriori morti, distruzioni, feriti e povertà che la guerra genera e ne dovrà rispondere innanzitutto al popolo che lo ha eletto e che getta allo sbaraglio per non avere l’umiltà di saper trattare.